Il per male che fa male

Un insulto antisemita. E che c’è di nuovo?

Nulla, certe idiozie spuntano fuori ogni giorno, in ogni posticino edulcorato del mondo. In questo momento, proprio ora, qualcuno starà di sicuro sparando la sua quotidiana fucilata di imbecillità più o meno travestita da insolvenza. La professoressa che intima alla sua allieva “ad Auschwitz saresti stata attenta” mica l’ha fatto apposta. E qui il problema. L’odio malcelato si annida dentro, cova, rimugina, si fa la messa in piega, riposa, soggiace, spunta, sputa. Eccoli lì, l’istinto al rifiuto dell’altro, l’inclinazione discriminante, la vocazione perversa del chemalecè. Vergogne quotidiane.

Questa volta, però, fanno notizia anche i buoni della favola contemporanea: la classe compatta che si ribella, un dirigente scolastico che non fa spallucce, una famiglia inamovibile che rivendica risposta, una ragazza pervicace.

Per ogni docente indegna ce ne è un’altra che sta sulle barricate della giustizia. Per ogni ragazzo accidioso, c’è il suo altro che non molla. Per ogni gruppo-gregge, fiorisce un insieme di persone.

Ecco quando si “per bene”. Per bene è non girarsi dall’altra parte se quella vocina dell’incoscienza incancrenita si mette a urlare.

Il per male c’è, troppo spesso, e fa più male quando è in compagnia.

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