Quote rosa: in Germania non ne parlano. Le fanno. La Cancelliera Merkel è, ancora secondo Forbes, la donna più potente al mondo, con il naturale codazzo di ostruzionismi e fustigazioni. Il suo, in più, è anche il governo della “rivoluzione silenziosa” al femminile. Fino al 2011, le donne manager, nel più europeo dei paesi europressati, costituivano soltanto l’1,4% dei posti di comando delle 30 maggiori aziende (Marika de Feo, IO Donna di oggi).
Nel giro di un anno, da quando al dibattito hanno fatto seguito le politiche, le donne ai vertici sono quasi raddoppiate. E la quota sale al 12,8% se il campione viene esteso alle prime 41 grandi imprese. La ricetta magica ha tre ingredienti: quote rosa anche su base volontaria, accanimento dei media, importanti investimenti su servizi e sussidi familiari.
Beata Germania, viene da pensare. Sfida la crisi a colpi di fioretto. E pensare che l’oro al fioretto (femminile) spetterebbe a noi. Ma vale solo in pedana. Nella realtà, siamo sconfitte e silenziate. Perdiamo tempo e risorse, abbarbicate all’atavica questione della rappresentanza. Quote sì, quote no. Tra affermazione e negazione (e io pendo convintamente per la seconda: sono per il merito) si parcelizza la forza di pressione. La questione delle opportunità alla pari resta in soffitta. Tornerà (anche sulla stampa) l’8 marzo, statene certe. E, come ogni anno, puzzerà di naftalina.
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